Sentenza n. 403 del 1996

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ORDINANZA N.403

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Dott. Renato GRANATA, Presidente

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 20 aprile 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino sui ricorsi proposti da GESAP s.p.a. e da Gestioni esattoriali s.p.a. contro l'Intendenza di finanza di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 422 e 542 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 25, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 ottobre 1996 il Giudice relatore Massimo Vari.

RITENUTO che la Commissione tributaria di primo grado di Torino, con due ordinanze del 20 aprile 1994 -- emesse nel corso di giudizi promossi rispettivamente da GESAP s.p.a. e da Gestioni esattoriali s.p.a., concessionarie del servizio di riscossione dei tributi di Torino, contro l'Intendenza di finanza, per l'impugnativa del silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'imposta straordinaria del 6 per mille sui depositi bancari e postali -- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359;

che, secondo il rimettente, la disposizione si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto dispone un prelievo sul risparmio bancario e postale che colpisce manifestazioni di ricchezza fra loro "diversissime", senza tenere conto delle differenti causali dei depositi e senza considerare che, nel caso di specie, si tratta di tributi riscossi per conto dello Stato e non di risparmi delle società ricorrenti;

che sarebbe violato, altresí, l'art. 53 della Costituzione, trattandosi di prelievo non solo arbitrario, ma addirittura privo di presupposto, in quanto le somme depositate sui conti correnti sui quali esso è stato effettuato sono indice rivelatore di ricchezza non del soggetto tassato (l'ente di riscossione), bensì dello Stato, per cui conto l'ente di riscossione ha ricevuto i tributi versati dai contribuenti;

che, a tal proposito, secondo il rimettente, occorre considerare che l'ente concessionario risponde, dall'entrata in vigore del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, del non riscosso per riscosso, e pertanto "ha già anticipato allo Stato le somme depositate dai contribuenti sui conti correnti dell'Ente di riscossione";

che, nel primo giudizio, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che l'eccezione sollevata venga dichiarata non fondata, dal momento che la questione è stata già esaminata dalla Corte nella sentenza n. 143 del 1995, con la quale è stata considerata non influente la qualità soggettiva del titolare del conto e la natura del rapporto sottostante, giacché l'imposizione colpisce oggettivamente il conto.

CONSIDERATO che, secondo quanto già affermato dalla Corte nella sentenza n. 143 del 1995 e successivamente ribadito (sentenza n. 73 del 1996), l'imposta in questione colpisce il bene indice di ricchezza nella sua oggettività e che, pertanto, non irragionevolmente la legge la pone a carico di colui che ne risulta il detentore, indipendentemente da eventuali rapporti sottostanti con altri soggetti, nell'ambito dei quali troverà definizione il problema della ritenuta subita dal titolare del conto;

che a tale principio non si sottraggono i rapporti intercorrenti, in materia di riscossione esattoriale, fra il concessionario e lo Stato, tanto che l'amministrazione finanziaria ritiene non assoggettabili alla ritenuta del 6 per mille le somme che affluiscono sui conti correnti postali, disciplinati dagli artt. 7, comma 4, e 36, comma 2, del d.P.R. n. 43 del 1988, vale a dire su quelli destinati a recepire le riscossioni dei tributi derivanti dai c.d. versamenti diretti e da quelli acquisiti mediante i ruoli;

che non si giustifica neppure il dubbio sollevato dal rimettente relativamente al diverso caso degli importi che, a seguito dell'adempimento dell'obbligo del "non riscosso per riscosso", affluiscono su conti bancari a ripristino delle somme che sono state anticipate dal concessionario con mezzi suoi propri e che costituiscono, perciò, ricchezza propria di quest'ultimo;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1996.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1996.